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304 monte nero


loro, tanto esse si avvicinano in certi punti e si confondono in uno sconvolgimento unico del suolo. È sulle vette, principalmente, che questo contatto incalzante si delinea. Nella immobilità dei solchi la lenta azione si disegna. Si scopre una eloquenza di tratteggi e di linee; vi sono argini rigidi che si difendono e argini ondulati che assaltano, arrampicandosi, serpeggiando, tendendo avanti con qualche cosa di duttile, di tortuoso, d’insistente.

Se non abbiamo le creste dei contrafforti meridionali del Monte Nero oltre il dorso di Luznica, ne siamo per tutto a pochi metri, là sotto, in posizioni il cui profilo dice una non so quale tenacia costante. Pare da lontano che le trincee stesse si allaccino in una lotta. La nostra linea preme contro la vetta verde dello Sleme, preme contro la vetta pianeggiante del Mrzli boscoso, giù verso Tolmino. Sulla cima del Mrzli le granate hanno sfrondato e potato il bosco; non si vedono più che dei tronchi neri che sembrano schiantati dalla folgore. Gli austriaci hanno allacciato a questi ceppi, che hanno nella distanza una parvenza umana, i fili di ferro dei loro reticolati. Appena al di qua, dove la boscaglia si rinfoltisce, sono i nostri, invisibili. Più in basso, fra delle rocce, qualche minuscolo rifugio si scopre, ma nessun uomo, nessun movimento. Ogni vita è sepolta.

Al rovescio delle alture della riva destra,