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sulle pendici del carso | 411 |
dìo scosceso e scoperto. L’assalto che arrivò
alla trincea si potè seguire da lontano. Si vedevano
gli uomini inerpicarsi urlando, si vedeva
lo sparpagliamento veemente e disordinato
delle masse di attacco che salivano, miriadi
di puntini grigi, si vedevano le seconde file
rincalzare le prime file assottigliate, e l’azione
pareva eterna. Al di qua del ponte di Sagrado,
dietro ad un parapetto, tre strani piccoli ufficiali
vestiti in uniforme khaki, guardavano immobili,
con i pugni stretti, lanciando enfatiche
esclamazioni gutturali.
Erano gli attachés giapponesi. Quando videro l’assalto sparire oltre la trincea nemica, ingolfarsi nel bosco, si voltarono indietro, verso degli ufficiali italiani che osservavano gravi e commossi, e agitarono le braccia con un gesto di entusiasmo e di stupore, gridando: «C’est grand! C’est grand!» Avevano rivisto la mitraglia umana di Porto Arturo.
Questo avveniva il 25 di luglio. Avevamo messo quasi un mese a giungere lassù. Due giorni dopo aver preso Sagrado eravamo a Castello Nuovo, al bordo dell’altipiano sopra al paese. Doveva essere in antico uno dei castelli intorno ai quali, su quelle stesse pendici del Carso, tre secoli fa Venezia si batteva con gli Arciducali nella guerra «Gradiscana». Poi il castello è divenuto una villa, circondata da cipressi. Adesso la villa è crollata, la battaglia ha cancellato tutto. L’occupazione di Castello