Pagina:Luigi Barzini - Al fronte (maggio-ottobre 1915).djvu/73

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ai piedi del carso 45


un altro. «Questa è cascata qui dietro». — «Ha tremato il muro».... Ma un comando interrompe i dialoghi. Un ordine è arrivato. Si parte.

In un batter d’occhio tutti sono pronti, appoggiati alle biciclette. Si fa rapidamente l’appello. Manca uno. Era là adesso. Chiamatelo. Eccolo che arriva, di corsa, tutto sporco di calcinaccio. «Signor tenente — esclama — e morta la capretta!». C’era una capretta abbandonata nel villaggio, alla quale i soldati avevano munto una bella gamella di latte. «È stata l’ultima bomba — informa il soldato — ero lì vicino, povera bestia! — e dopo un istante di riflessione: — Peccato che sia troppo dura a mangiarsi!».

Via! Con un volteggio elegante ogni soldato inforca la sua macchina e sospeso sul sottile scorcio delle ruote fila nel candore della strada sollevando una bassa scìa di polvere. La compagnia scorre ordinata, silenziosa, veloce, tutta grigia, nella direzione del nemico.

I fucili a bandoliera ergono sullo svolazzamento delle piume come un tratteggio inclinato.


Una folta e confusa massa di gente si avvicina. Viene dalla fronte. Nel polverone che solleva, s’intravvedono dei carri gremiti di persone, tirati da buoi. È un formichìo oscuro, lento, taciturno, nel gran sole ardente. L’emigrazione.