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118 l’argentina e gli italiani


fondo le ricchezze del suolo argentino, che sono immense, fanno pensare ad un tesoro chiuso in una cassa forte della quale non si è buoni a girare la chiave. Il tesoro c’è, ma non si può contare certo su di esso per un immediato sollievo. È inutile che l’Argentina sia sconfinata e varia; il ricco deserto oggi non conta che come un insieme di nomi e di segni geografici; l’Argentina vera sulla quale pesa tutta la miseria del presente è relativamente piccola, e non sorpassa i confini della parte sfruttata. Questa parte sopporta tutti i mali; e poniamoci bene in mente che ogni espansione rappresenta uno sforzo che il paese non potrà mai fare finchè non si sarà sollevato dalla prostrazione che lo accascia. È il problema del presente che s’impone dunque; esso si deve studiare fin dalle sue origini, e lasciamo le splendide fantasticherie dell’avvenire all’avvenire!



I governanti argentini vedono le cose semplicemente: la produzione risulta insufficiente di fronte alle spese? Aumentiamo dunque la produzione. E come? Con nuova immigrazione. Così si assiste al curioso spettacolo del Governo argentino che chiede emigranti persino al Transvaal, mentre più di duecentomila operai nella Repubblica stessa domandano inutilmente lavoro.

Bisogna guarire prima! Le trasfusioni di nuovo sangue rendono forti i deboli ma non sanano i malati! Si faccia una diagnosi accurata della Repubblica Argentina.

I suoi debiti con lo straniero, debiti molteplici e complicati, si aggirano intorno a quattrocento milioni di pesos oro, ossia due miliardi di franchi; e con questo l’Argentina non è padrona delle sue ferrovie