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182 l’argentina e gli italiani

Le nostre scuole sono talvolta didatticamente manchevoli. È mancata l'unione delle iniziative, tutto è diviso. Quindici Società hanno voluto fondare quindici scuole, non volendo sottrarre nemmeno questa santa istituzione alle lotte, alle rivalità, alle ambizioni, che sono le triste caratteristiche di quelle nostre dissociate associazioni. I capitali che uniti avrebbero servito a mantenere delle grandi scuole capaci della loro nobile missione, divisi, sono invece in proporzione meschini; spesso insufficienti. L'arredamento scolastico è per molte scuole antiquato e deficiente. Il personale insegnante, male retribuito, non può essere sempre, ragionevolmente, il più scelto e il più adatto; deve talvolta dedicarsi anche ad altre occupazioni per campare la vita, non facendo più dedizioni alla scuola di tutte le sue forze e di tutto il suo amore.

Ma il difetto peggiore forse di quelle scuole è nel programma, fissato da una speciale Commissione di sorveglianza. Il programma è presso a poco quello delle scuole corrispondenti in Italia. Questo è assurdo. In Italia i ragazzi vanno a scuola per istruirsi; il resto lo insegna loro il paese. Essi vedono i monumenti, assistono alle cerimonie, odono i discorsi, seguono i reggimenti per la via, sentono rammentare date gloriose, entrano nelle chiese, nei musei, nelle pinacoteche; poco a poco, si forma in loro l'amore sconfinato al paese, l'ammirazione per i suoi grandi, la coscienza delle sue glorie; diventano italiani, così vivendo, per tutto quanto penetra nella loro anima; tutto ciò che vedono e che odono si ammassa inavvertito nel loro spirito, diviene pensiero, diviene sentimento come il cibo diviene sangue. Ma questo all'estero non accade. È la scuola che deve supplire — poichè disgraziatamente non supplisce sempre la famiglia — creando, direi quasi, un processo rapido d'italianizzazione con i mezzi più adatti. L'istruzione pura e semplice passa in seconda linea.

L'Argentina che vuol dare al suo popolo eteroclito