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14 l’argentina e gli italiani


pionario di capitali europee; nemmeno la più piccola sfumatura di colore locale. Vien quasi voglia di chiedere, come er re de Spagna portoghese dei sonetti di Pascarella:

Ma st’America c’è? ne sete certo?

Si esce da una brutta copia di «boulevard» parigino — che tale è l’Avenida de Mayo, la principale via della città — e si trova nella «Plaza de la Victoria», un perfetto square londinese, ombroso e verde con la sua fontana che getta acqua nei giorni solenni, e il suo bravo monumento equestre, una specie di «cavallo di spade», rappresentante il generale Belgrano. Di fronte al generale biancheggia quel curioso obelisco celebre sotto il nome di «Piramide de Mayo», eretto per «perpetuar el glorioso pronunciamiento de independencia», funzione che esso, per quanto composto di stucco, compie coscienziosamente da novant’anni. E il capolavoro d’un povero mastro muratore italiano, un certo Podestà, divenuto architetto per bisogno. Si sa, l’italiano

Er talentaccio suo se l’ariggira.

L’opera dell’oscuro nostro compatriotta è ingabbiata da un’armatura costellata da lampadine elettriche che si accendono nelle sere di festa: una volta all’anno si dà al tutto una buona mano di vernice. Questo è il più antico e il più sacro monumento della Repubblica Argentina, intorno al quale si compiono le cerimonie patriottiche e le dimostrazioni; mèta dei corteggi e dei pellegrinaggi, tribuna dell’eloquenza commemorativa.

La manìa d’ingombrare i monumenti con il permanente preparativo della luminaria è generale. L’illuminazione pare considerata qui come una cosa importante, indispensabile, che bisogna aver sempre pronta sotto mano per ogni circostanza. Oh! «sangre espa-