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la crisi argentina 33


cianti stranieri, interrogato sulla gravità della crisi, mi ha detto: — La crisi è tale che non potrebbe essere di più! — Un altro commerciante, alla stessa domanda, mi ha risposto: — Immaginate che in seguito ad un male non curato sopravvenga la cancrena. Ebbene, la crisi del novantuno era il male; quella di oggi è la cancrena!

Questa è la situazione descritta in poche parole. Il male è tanto più grave in quanto che è profondo. Le cause sono molte; recenti e lontane, passeggiere e durevoli. Le lontane e le durevoli sono le principali, e perciò la guarigione è difficile.

Una delle cause della crisi è l’accentramento a Buenos Aires di grande parte della vita argentina. Questa Repubblica dà l’idea d’un mostro che abbia un corpo piccolo e debole, ed una grande, smisurata testa. La popolazione della capitale è di più che 800,000 abitanti, e tutto il resto dello Stato non ha nemmeno quattro milioni. La sproporzione è enorme.

In un paese che, come l’Argentina, non ha altra vera ricchezza che la produzione agricola, che non possiede o quasi industrie, questa mostruosa capitale tanto popolata significa non solo che un’infinità di gente è completamente sottratta all’unico lavoro proficuo — quello dei campi — ma che tutta questa gente vive interamente alle spalle degli altri, e di una vita enormemente dispendiosa. Buenos Aires assorbe troppe risorse argentine. È un lusso, una «spesa di rappresentanza» che solo potrebbe permettersi un ricco popolo di cento milioni d’uomini.