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80 l'argentina e gli italiani

La società è clemente verso la colpa; «noi succhiamo nascendo un latte di clemenza» — ha scritto l'Alvarez. Nelle campagne ammazzare si dice una desgracia; ma, intendiamoci, non è una disgrazia per chi ci rimette la pelle, ma per l'assassino. C'è chi ha, poveretto, molte... disgrazie sulla coscienza. Questi uomini si chiamano «uomini d'azione». Tutto questo si spiega. È troppo fresco nella memoria il ricordo del periodo sanguinoso dei Facundo, dei Frate, dei Chacho, del tiranno Rosas, a petto ai quali i nostri capitani di ventura erano delle signorine sentimentali, periodo che potrebbe chiamarsi il medioevo argentino. E le stragi degl'indiani, le sanguinose guerre civili sono ancora nella mente del popolo. E poi il sangue argentino è sangue andaluso con un pochetto di sangue indiano, e perciò l'argentino è cortese, cavalleresco, generoso forse anche, ma bene spesso impetuoso e violento. «Nell'Argentina dall'epoca dell'indipendenza nessuna infermità ha distrutto più popolazione» — ha scritto l'Alvarez — «di quella che Chamfort chiamava la fraternità di Caino; il revolver e il pugnale sono endemici, e per un niente s'ammazza, come vuole l'uso criollo.» La rivoltella è nelle tasche di tutti. «È poco che in un ballo al quale erano convitati alti personaggi» — ha scritto un giorno la Nacion — «un diplomatico straniero espresse la sua sorpresa nel sapere che molti invitati avevano lasciato le loro rivoltelle al guardaroba, come se uscendo temessero un'imboscata, o preparassero una cospirazione.»

Il male è che spesso sono dei nostri connazionali le vittime della «fraternità di Caino» e potrei citare molti, troppi casi d'italiani uccisi impunemente, talvolta senza ragione, per brutalità, se non per un semplice esercizio di tiro al blanco — come ultimamente è avvenuto in una colonia di Santa Fè, dove un gaucho ha ammazzato un giovane italiano per provare un Winchester nuovo. Una madre italiana con i suoi