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164 l’argentina e gli italiani



Fra chi è nato al di qua e chi è nato al di là dell'Atlantico v'è una barriera invisibile che l'Argentino sente e apprezza; ed attribuisce alla propria generosità e alla propria bontà il non farla sempre valere. Esso si ammira in buona fede; dice e scrive in fondo in fondo così: «tutta questa gente moriva di fame nel suo paese, è venuta qua, ed io non la scaccio; come sono buono, generoso, ospitale!» Tutti hanno interesse di ripetergli in coro «come siete buono, generoso, ospitale!» — e la barriera invisibile persiste minacciosa.

Oh! facciamo una buona volta i calcoli di questa ospitalità generosa, vediamo da quale parte sono gli utili maggiori, immaginiamo che cosa sarebbe quel paese senza di noi, ed osserviamo ciò che è; vediamo chi crea la sua ricchezza, vediamo chi produce e chi spende, chi suda e chi gode, chi fa e chi disfà. Smettiamo di mentire, perchè la nostra dignità ne ha sofferto abbastanza.

Il nostro lavoro è richiesto: si domandano braccia. — «Che cosa guarirà mai la profonda crisi argentina?» — chiedevo un giorno al senatore Canè, uno dei più colti politici argentini. — «Non c'è che un rimedio: l'emigrazione» — mi rispose. Dunque da una parte si chiede l'emigrazione, dall'altra vi è la potenza di soddisfare la domanda. Si può ben trattare come parti contraenti, mettere delle condizioni, volere delle garanzie, pretendere un po' di giustizia per i nostri poveri connazionali, in cambio della immensa forza che noi diamo, e che noi dovremmo dirigere.