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20 | Luigi di San Giusto |
fredda, talvolta vuota, nonostante i magnifici concetti.
O per pudore femminile, o per alterigia, o perchè realmente le mancassero ricordi di vera tenerezza e di passione, la poetessa non ci apre alcuno spiraglio nella intimità affettuosa del suo amore. Eppure quante care memorie di quei primi tre anni di gioia amorosa dovevano tumultuarle nel cuore! Ella parla continuamente della gloria del signor suo, scarso cibo a un animo veramente appassionato!
Anche la mestizia profonda, sconsolata, che la invase alla morte di lui, e l’avrebbe indotta a chiudersi per sempre in un convento, se il papa espressamente non glielo avesse proibito; quella mestizia di vedova cristiana ma innamorata, non è cosa convenzionale nè artificiosa. Tutta la vita successiva di Vittoria è lì a provarci la sincerità del suo rammarico; le sue caste e austere gramaglie non si rallegreranno mai più di gioie terrene.
Unico suo conforto, Dio.
Ella si rifugia ai piedi degli altari; nell’ombra mistica delle chiese immerge il suo spirito dolente, e lo ritrae refrigerato.
Ma, nonostante ciò, Vittoria non era un’asceta. Invece di dissolversi nell’adorazione della Divinità, il suo ingegno sottile va in cerca di ragionamenti; ella specula sulla fede, ella discute con se stessa e con la teologia.
Pericolosa tendenza in un secolo, che maturava in sè la Riforma!