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le potenze dinanzi agli affari d’Egitto. Infatti, quasi tutte, chi per un verso, chi per un’altro, declinarono l’invito di intervenire; di guisa che l’Italia si trovò isolata nelle sue proposte. In quanto all’Inghilterra, interrogata in proposito dall’Incaricato d’affari italiani a Londra, diede una risposta evasiva e negativa. Il ministro Granville, infatti, allegò a pretesto che «gli impegni che aveva con la Francia gli avrebbero impedito di accettare una proposta qualsiasi che avesse per intento di sostituire eventualmente una situazione più ampia alla situazione che le due potenze occidentali hanno presentemente nel Vice-reame»; soggiugendo, inoltre, che non conveniva rivolgersi a Parigi, poichè una istanza si fatta «certamente non avrebbe potuto sortire favorevole risultato»; declinò pertanto una cooperazione anche solo morale dell’Italia. E, dopo aver mostrate le sue più vive simpatie aggiunse che «la sincerità è la migliore prova dell’amicizia».

Stando così le cose, come si spiega il «revirement» britannico dell’anno appresso? Si spiega col fatto semplicissimo che, successivamente, il ministro francese Freycinet aveva, in ogni caso, escluso l’intervento armato della Francia in Egitto, non volendo partecipare ad «una politica di avventure». Era evidente, quindi, che l’Inghilterra, visti riuscire vani tutti i tentativi fatti per una composizione pacifica della questione d’Egitto, vista ormai impossible la collaborazione diretta e solidale delle Potenze, fallitole l’appoggio della Francia, che se ne pentì anch’essa di lì a poco, non potesse rivolgersi che all’Italia, nazione che certamente aveva interessi rilevantissimi in Egitto, dove, per giunta, godeva della simpatia della popolazione non traviata di quel paese nonchè la simpatia stessa di Arabi Pascià, che non avevano avuto da lamentarsi del contegno degli Italiani nelle faccende interne d’Egitto.