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piena di quell’entusiasmo traboccante, senza il quale non è possibile affrontare rischi mortali e sofferenze grandissime, senza il quale, in fine, le nazioni come gli individui sono destinati a peggiore condanna degli accidiosi danteschi:

«Questi sciaurati che mai non fur vivi».

Ma — poichè sembra che il Mazzini non sia, quanto si vorrebbe, spiritualmente vivo nella coscienza dei giovani del tempo nostro, — conviene citare integralmente il pensiero di Colui che, dopo aver scosso l’Italia da un capo all’altro della penisola, soffrendo atrocemente per lei, era costretto a morire quasi dimenticato ed oscuro nella stessa terra d’Italia.

«Prima un tempo — dice il Mazzini — e più potente colonizzatrice del mondo, vorrà l’Italia rimanere ultima in questo splendido moto?

«Schiudere all’Italia, compiendo a un tempo la missione di incivilimento additata dai tempi, tutte le vie che conducono al mondo asiatico: è questo il problema che la nostra politica internazionale deve proporsi con la tenacità, della quale, da Pietro il Grande a noi fa prova la Russia per conquistarsi Costantinopoli. I mezzi stanno nell’alleanza con gli slavi meridionali e con l’elemento ellenico fin dove si stende, nell’influenza italiana da aumentarsi sistematicamente in Suez ed in Alessandria e in una invasione colonizzatrice da compirsi, quando che sia e data l’opportunità, nelle terre di Tunisi. Nel moto inevitabile che chiama l’Europa a incivilire le regioni Africane come Marocco spetta alla Penisola Iberica e l’Algeria alla Francia, Tunisi, chiave del Mediterraneo centrale, connessa al sistema sardo-siculo e lontano un venticinque leghe dalla Sicilia, spetta visibilmente all’Italia. Tunisi, Tripoli e la Cirenaica formano parte importantissima per la contiguità con l’Egitto e per esso la Siria coll’Asia, di quella