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ebbe ad affermare esplicitamente una volta, a proposito del più grande Risorgimento, che: «l’unità sarebbe inutile se non dovesse portarci forza e grandezza.» (Palamenghi, p. 2).

La politica dignitosa, fiera, nazionalmente efficiente e coerente del Crispi fu sempre avversata da coloro i quali preferivano la «politica modesta» ossia una politica di remissione ad oltranza, dinanzi agli insulti ed alle cupidige altrui. Ma «politica modesta» voleva significare rinunzia a quanto potesse impegnare l’Italia, ancor fremente di passione garibaldina, in complicazioni internazionali; anche perchè — come sostenevano i più — i popoli barbari o selvaggi o scarsamente civili avevano il sacrosanto diritto di governarsi da loro e di essere perciò lasciati indipendenti. Ma i fautori di tali ideologie o, se volete, di tale politica del carpe diem, dimenticavano che, fino a pochi decenni addietro, Tripoli e Tunisi ed Algeri erano il covo dei pirati barbareschi i quali taglieggiavano i Cristiani, gettandoli in catene ed in luride carceri, costringendoli, tal volta, a rinnegare la fede avita.

La verità, in tale faccenda, è che l’unità d’Italia si era compiuta a spizzico e — si può dire — senza un programma prestabilito ed ardimentoso, mazziniano e garibaldino, senza che per questo fosse necessario o lecito rinnegare la politica accorta e freddamente calculatrice del grande Cavour.

Certo, i governi italiani, succedutisi al potere dopo l’unificazione d’Italia, non furono, per lo più, all’altezza del loro còmpito, se pur sia doveroso riconoscere che esso non era nè facile nè lieve, anzi anormale e di non ordinaria amministrazione. Coloro, infatti, che avevano preso parte attivissima o soltanto attiva alla resurrezione politica ed alla sua redenzione morale furono tenuti, in virtù della forza quasi negativa e dissolvente del parlamenta-