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6 la merope


cui narri tu d’aver per lui dimostro

cor sí benigno? Forse Argo e Corinto,
Arcadia, Acaia e Pisa e Sparta, in fine
e terra e mare ricercar non festi
pel tuo vano sospetto? E al giorno d’oggi
forse non fai che su quest’empia cura
da’ tuoi si vegli in varie parti ognora?
Ah! ben si vede che incruenta morte
non appaga i tiranni; ancor ti duole
che la natura, prevenendo il ferro,
rubasse a te l’aspro piacer del colpo.
Polifonte.   Ch’ei non morí, in Messene a tutti è noto.
E viva pur; ma tu che tutto nieghi,
negherai d’esser viva? E negherai
che tu nol debba a me? Non fu in mia mano
la tua vita sí ben, come l’altrui?
Merope.   Ecco il don dei tiranni; a lor rassembra,
morte non dando altrui, di dar la vita.
Polifonte.   Ma lasciam tutto ciò, lasciami le amare
memorie al fine; io t’amo e del mio amore
prova tu vedi che mentir non puote:
ciò ch’io ti tolsi, a un tratto ti rendo
e sposo e regno e figli ancor, se in vano
non spero. Forse nel tuo cor potranno
piú d’ammenda presente antichi errori?
Merope.   Deh dimmi, o Polifonte: e come mai
questo tuo amor si tardi nacque? E come
desio di me mai non ti punse allora
che giovinezza mi fioria sul volto,
ed or ti sprona sí che giá, inclinando
l’etá e lasciando i miglior giorni addietro,
oltre al settimo lustro omai sen varca?
Polifonte.   Quel ch’ora i’ bramo, ognor bramai; ma il duro
tenor della mia vita assai t’è noto.
Sai che a pena fui re ch’esterne guerre
infestar la Messenia e, l’una estinta,