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atto quarto 137


Orazio.   Che un d’essi vada in serpa

e l’altro in coda.
Personaggio.   In oltre Tizio ch’era
secondo adduce che, passando al quarto
luogo Sempronio, resta consumata
sua ragion di star presso al primo e debba
avvicinarsi all’ultimo; all’incontro
Mevio ch’era nel primo, rimutandosi
gli altri, si crede anch’ei dover passare
nel secondo o nel terzo. Questo caso,
come la vede, vuol buona aritmetica.
Dubbio secondo: —
Orazio.   Oimé, che cosa è questa?
Deh per grazia, signor, per caritá...
Personaggio.   Dubbio secondo: Albin riceve visita.
Nel fine, quando accompagnar dovrebbe,
si sente per disgrazia impetuosamente
chiamar — gran caso! — al luogo topico.
Quid agendum? Se va, non accompagna
e manca indegnamente ai convenevoli;
se accompagna, si espone a brutto rischio
e scioccamente manca ai necessarii.
Scolovendro, ch’è assai pronto d’ingegno,
ha suggerito che per tai pericoli
si tenga in pronto una comoditá
da due stanghe infilata, con le quali
alzato il paziente sopra d’essa
venga portato fino dove ha debito
d’accompagnare e così soddisfaccia
all’uno e all’altro nell’istesso tempo.
Ma Misiterio sottilmente oppone:
non è dover che per quel tratto gli uni
vadano con le proprie gambe e l’altro
con le gambe d’altrui stando a sedere,
e a questo l’uso d’una sola voce
fra tanto si conceda, a quel di due.