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162 | le cerimonie |
cacciagli fuor di casa a brutto onore.
(Tornando indietro gli fa una riverenza smorfiosa al solito.)
Col padre, il quale veramente non ha
colpa veruna, non tralascio di
fare il dover di civiltá.
Leandro. O in quale
abisso io mi ritrovo adesso di
confusione? Qual misto di dolore
e di vergogna e di rabbia! Ah ribaldo!...
Antea. Signor Leandro mio veneratissimo,
si trattenga, la prego, non si lasci
portar da l’ira; questa è l’occasione
di mostrar sua prudenza. I matrimoni
son destinati; chi potria impedirgli?
Questi figliuoli si videro a pena
che restar presi l’un de l’altro. Al fine
che gli può dispiacer nel parentado
nostro? E che fa un poco di roba di
piú, che ancor non sará senza gran liti
e senza molti imbrogli?
Camilla. Queste lagrime
fanno fede quant’io sia afflitta del
suo disgusto; non merito per certo
di diventar sua nuora, ma benché
priva d’ogn’altra qualitá, l’accerto
che la piú riverente ed ubbidiente
di me non troverebbe.
Orazio. Signor padre,
eccomi genuflesso: è stato un impeto
improviso e non ho operato io;
il contragenio da una parte e ’l genio
da l’altra. Io do parola infin che vivo...
Bruno. Signor padron, si pieghi; c’è qualcosa
di straordinario in questo accidente:
le cose fatte al fin lodar bisognale.