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atto terzo 191


poca creanza.

Ersilia.   A tal richiesta io
non posso far risposta; convien parli
col signor padre, il quale credo senz’altro
che non assentirá.
Ermondo.   Deh, non mi nieghi
questo favore! Perché lo conceda,
abbraccierò i suoi ginocchi.
Despina.   Io non ho
saputo mai che fossero i ginocchi
fra le parti abbracciabili.
Ermondo.   Io farò
che non resti servita trivialmente,
non le darò cibi plebei: guazetti,
manicaretti, intingoli, stufati,
torte, pasticci, polpette, sfogliate,
gelatine, animelle, ciambellette;
io le darò sagú, parsí, gattò,
cotelette, crocande
, e niente cotto
sará mai nello spiedo, ma allo spiedo,
anzi alla brocca. Non farò la mala
creanza mai di far portare in tavola
un cappone, se non in frigandò;
non mangerá frittelle, né presciutti,
né vii vivanda d’anitra, ma sempre
canár, sambón, bigné. Non mancherá
cressón, che passa per saporitissimo,
perché finisce in on. Che dirò poi
del deserto?
Despina.   Anderan dunque al deserto?
Aliso. (a Despina) Chiamati cosí lo sparecchio, allorché
si portano le frutta.
Ermondo.   Graziosissimo
sará questo, perché finge una danza
di marionetti.
Aliso.   Vuol dir: burattini.