Pagina:Maffei, Scipione – Opere drammatiche e poesie varie, 1928 – BEIC 1866557.djvu/221

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datomi prima non mi può dar lume,

percioché da Raguet parlano entrambi.
In man di questo è il ritratto. Che fare,
se non fargli giocare alla bruschettá?
Alfonso.   Come, signor, fate sembiante ancora
d’esser confuso?
Anselmo.   Io vorrei mi diceste
dov’è il ritratto ch’io mandai.
Alfonso.   11 ritratto
poco fa l’ho smarrito, se però
non fu volato. Ma chiedete a lui
stesso. Avrete voi fronte d’asserire
che séte Flavio Trinci?
Ermondo.   Io? Guardi il cielo.
Mi meraviglio; io sono Ermondo Alluni,
e cosi ho detto sempre, né ho smentito
giá mai.
Anselmo.   Cosi è per certo, e protestato
ha sempre di non esser Flavio; ma
il tempo in cui qua venne e il suo linguaggio
ci hanno ingannato.
Alfonso.   Ma perché tentare
di rapir ciò ch’è a me?
Ermondo.   Lungi da questo.
Che sapev’io di tal contratto? Mi
son veduto accablar di polizie
e quasi offrir si bell’acquisto; or chi
l’avrebbe rifusato? Che se Ersilia
era ad altri promessa e se da equivoco
è nato tutto questo, io non pretendo
iniquamente usurparla, né farlo
in verun modo potrei.
Anselmo.   Or vedete,
o signor Flavio, quant’è onesto Ermondo,
e come amici esser dovete? Mio
e de la figlia fu l’errore.