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Pagina:Maffei, Scipione – Opere drammatiche e poesie varie, 1928 – BEIC 1866557.djvu/247

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Ma una parola che t’usci pur dianzi,

assai m’ ha reso di saper bramosa,
chi tu sia e di qual gente.
Osmino. O in questo, Elpina,
appagarti non posso,
perch’io stesso no’l so.
Elpina.   Come no ’l sai ?
Curi dunque si poco i prieghi miei?
Tacendo anche, il dicesti ;
qualche barbaro sei.
Osmino. Questo non giá, mentre di Sciro io sono,
ch’ora intesi a te ancor désse la culla.
Elpina.   Tu della patria mia?
Ma come altro non sai?
Osmino. Perché a’ miei tolto si fanciullo io fui,
che a penar pria che a vivere imparai.
Elpina.   Ma né pure il tuo nome
e né pur quel del genitor t’è noto?
Osmino.   11 mio nome fu Osmino, e perché seppi
dai rapitor piú volte
ch’allor piangendo io chiamai Silvia, ho sempre
sospetto avuto che tal fosse della
mia genitrice il nome; e il padre tuo
men giva appunto a interrogar, se a Siro
ninfa si trovi di tal nome, a cui
fosse un figlio rapito,
come rapito io fui.
Elpina.   Che sento? Osinin di Silvia! Ora comprendo
perché d’Osmino e di Licori i nomi
veggansi qui sopra le scorze incisi.
Volo a recar si gran novella.
(parte)
Osmino.   E dove,
dove sen va costei?
La vo’ seguir, ché dietro Torme sue
m’avverrá forse di trovar colei,