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276 | poesie varie |
Ma giá non perde amor, perdi’ei contenda;
contrasto è si, ma non discorde voglia;
ed odi, acciocch’error piú non ti prenda:
Quei che di sé nel saziare invoglia,
vuol che nel tempo o fuor d’esso alcun frutto
ciascun, qual sia, di sua virtú raccoglia.
Quindi talor sul fedel suol distrutto
scorgi l’Asia portar i giorni amari
e le timide vie coprir di lutto.
Ma si come lá giú ne’ regni vari,
perché l’un sia felice o l’altro oppresso,
sorgono i inerti lor fra sé contrari:
a noi saper quel che per sempre impresso
sta ne la somma luce, ordin secreto,
senza cercarlo in lei non è concesso.
Però ciascuno le bell’opre lieto
de’ suoi dispiega e gli altrui falli, e allora
sorge chiedendo l’immortai decreto.
Questo pugnar che qui ferve talora
non disgiunge i voler, se ognun consente
che ’l consiglio divin s’adempia ognora. —
Qual peregrin, che la sua scorta sente
meraviglie narrar, tutt’altro oblia
e gran cose trascorre e non pon mente:
io lui così senza guardar seguia
l’alte bellezze di che ’l Cielo è adorno,
cotanto inteso al dolce dir meli giá.
Quando mi scossi, a me rotar d’intorno
vidi le stelle il doppio opposto moto
e piú basse opprimea l’erranti il giorno.
In lor pascea sue brame il guardo immoto,
ripensando al valor che le conduce,
nè discernea ’l frapposto spazio voto;
ché l’aer puro di vapor la luce
non imbeve, né i rai da sé ridette,
onde moto non ha. né a noi riluce.