Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
poesie varie | 283 |
qual argin vinto cui gran rio sormonte,
col duol che le grand’alme assai piú forte
tutto il cor cesse, allor che ’n le distese
membra lo sguardo intese.
— Ahi figlio (disse) ahi non piú mio, qual’empio
destin te prese e me lasciò? Che strana
legge te spense e vuol ch’io viva esempio
de’ padri sventurati? O speme vana
che i cor d’inganno pasci!
Dove, figlio, ten vai, dove mi lasci?
io non so come ancor resista il core
e veggio ben ch’uom di dolor non more.
Deh qual fu teco e senza te qual fia
mia vita! In grembo io giacerò del duolo
sempre, né vedrò piú sereno un giorno.
E quando e di sua luce adorno
e quando involto è d’ombre cieche il suolo,
te cercherò, te chiamerò qual pria;
che se tal doglia oblia
padre giá mai, ben di soffrirla è degno.
Iniqua sorte a ciò dunque serbasti
il viver mio che tra ’l fulmineo sdegno
d’armi nemiche illeso ognor lasciasti?
Sono questi gl’imperi,
onde m’empievi or or tutti i pensieri?
Ahi destino crudel, tu ben m’intendi;
tienti i tuoi regni e ’l figlio mio mi rendi. —
Ma sciolto intanto il lieto spirto e scarco
fendea con l’ali sue le vie serene
e tea di sé meravigliar le sfere.
Volgeansi al suo apparir quell’alme altere,
e tal dicea: — Come giá le terrene
cose lascia, né porta a questo varco
segno del frale incarco? —
Ed altra soggiugnea: — Di lui privarsi
finse per brevi di l’eterno amante;