Pagina:Maffei, Scipione – Opere drammatiche e poesie varie, 1928 – BEIC 1866557.djvu/339

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canto primo 333


tal sará il mio piacer; però t’accheta
e cedi al mio voler, ché s’io le invitte
710mani ti pongo intorno, quanti in cielo
son numi accorran pur, non ti varranno. —
     Così parlava e da timor fu presa
la boviocchiuta Giuno, e il cor piegando
sedette e tacque, ma i celesti dèi
715nel palagio divin n’ebber sconforto;
e tra lor cominciò l’insigne mastro
Vulcano a ragionar, dolci rinfreschi
a la bianca Giunon diletta madre
portando: — Trista ed insoffribil certo
720condotta è questa, se pur tal per conto
d’uomin mortali suscitar contesa
vi dá il core e tra i dèi destar tumulto;
non dará piú diletto il gran convito,
se il mal trionfa. Ma la genitrice,
725qual ben da sé l’intende, io pure esorto
al caro padre presentar rinfreschi,
perché di nuovo non contrasti e a noi
turbi il convito; poiché può, se vuole,
il dio folgorator che troppo tutti
730di forza vince, da le nostre sedi
travolgerci. Or però fa con soavi
parole di ammollirlo, ché ben tosto
dolce vèr tutti noi fia che ritorni. —
Dopo ciò alzossi e una rotonda coppa
735pose a sua madre in mano e si le disse:
     — T’accheta, o madre, e benché afflitta soffri,
perch’io sugli occhi miei, se ben si cara,
non ti vegga percossa, ché niuna
col mio dolor porger potreiti aita.
740Ir contra Giove è troppo arduo; altra volta,
che dar soccorso i’ volli, ei per un piede
preso gittommi da l’eterea soglia.
Stetti per aria tutto il di ed in Lenno