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378 dell’iliade di omero


— Non m’irritar, infelice, e non fare
ch’irata io t’abbandoni e t’odii tanto
495quanto frnor t’amai; talché crudele
ne’ troiani e ne’ greci odio inspirando,
tu con misera sorte a perir venga. —
     Cosí diceva, e la di Giove nata
Elena paventò; perciò avviossi
500tacita, a tutte occulta, in bianco avvolta
lustrato drappo; innanzi iva la dèa:
a la nobil magion giungendo entrambe,
tornavan tosto ai lor lavor le serve.
Sali ne l’alta stanza la divina
505donna; per lei presa una sedia, incontra
posela a lui la risamica dèa.
S’assise dell’Egioco Giove figlia
Elena e, gli occhi abbassando, in tal modo
il consorte sgridò: — Tu da la pugna
510ritornasti; ben meglio era che in essa
perito fossi da Tuoni forte ucciso
mio primiero consorte; esser piú prode
per armi e per valor del caro a Marte
ti davi vanto Atride. Or va, lo sfida
515a pugnar teco ancora. A starti cheto
io t’esorto e col biondo Menelao
a non prender da stolto altro combatto,
se per Tasta di lui cader non vuoi. —
     Paride a lei cosí rispose: — Donna,
520co’ detti tuoi non mi ferir pungenti.
Ora me vinse per Minerva Atride,
in altro io lui vincere incontro spero,
ché anco per me numi ci son. Ma ora
nel talamo d’amor prendiam piacere,
525ché non m’ottenebrò la mente amore
con tanta forza mai, né pure allora
che te in Sparta rapita a Cranae trassi
con marpassanti navi e il primo frutto