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atto quinto 65


Merope.   Che di’ tu? Non per anco è mio consorte.

Adrasto.   O questo, o de’ tuoi cari un fiero scempio.
Merope.   Pensamento maligno, empio, infernale!
Ismene. (in disparte) Cedi, cedi al destin; non far che guasto
resti il gran colpo giá a scoccar vicino.
Merope.   Questo è il solo pensier che pur mi frena
dal trapassarmi il sen; questa è la speme
per cui ceder vorrei, per cui mi sforzo
far violenza al cor. Ma oimé rifugge
l’animo e si disdegna e inorridisce.
Adrasto.   Se di strage novella or or non vuoi
carco vedere il suol, tronca ogn’indugio;
condur per me si dèe la sposa al tempio.
Merope.   Di’ piú tosto la vittima.
Adrasto.   E che? Forse
nuovo parrá, qualora pur si veggia
regal donna esser vittima di stato?
Merope.   Ma si vada: sul fatto i dèi fors’anco
nuovo nel cor m’accenderan consiglio.
Andianne, Ismene, omai.

SCENA IV

Egisto e Polidoro.

Egisto.   Quella è mia madre,

ch’or strascinata è lá?
Polidoro.   Ben duro passo
è quello a cui l’astringe il fier tiranno.
Ma che s’ha a far? Forse da questo male
alcun ben n’uscirá: la sofferenza
e l’adattarsi al tempo non di rado
han cangiato in antidoto il veleno.
Egisto.   Io men vo’ gire al tempio e la solenne
pompa veder.