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aveva dimenticato l’ombrellino. — Signor papà — disse ella scherzando — Le rincrescerebbe? — Il signor papà corse in chiesa e, prima di giungere al banco dov’era stata Edith, incontrò il curato che gli veniva incontro porgendogli l’ombrellino e gli fece due o tre inchini.

— È Suo? — disse il curato.

— È di mia figlia.

— Se volesse vedere il coro, la sagrestia... Abbiamo un Luino, un Caravaggio... dico, se crede...

— Oh grazie, grazie — disse Steinegge, che all’udire Luino e Caravaggio era rimasto a bocca aperta.

— Allora, se vuol dirlo alla Sua signora figlia...

Steinegge s’inchinò, uscì a fare l’ambasciata e rientrò subito con Edith.

Il curato si fece loro incontro con certa cordialità impacciata, strofinandosi le mani e suggendo l’aria con le labbra strette come chi ha messo un dito nell’acqua troppo calda. Mostrava presso a sessant’anni. Aveva fronte alta, sguardo vivace e ingenuo, il viso, la voce, il passo della sincerità. Da tutta la sua persona spirava non so quale energia temperata di timidezza. Mostrò a Steinegge e a Edith i due quadri, che portavano alla meglio i loro nomi pomposi. Il Caravaggio nel coro era un Martirio di S. Lorenzo, barocco nel disegno e nei lumi, ma pieno di vita. Steinegge non capiva niente di pittura e ne fece grandi elogi. Edith tacque. Il Luino della sagrestia era una bionda testa della Vergine, luinesca senza dubbio, soave. Edith ne fu commossa. Disse al curato con la sua voce quieta, ch’era straniera e che sentiva allora per la prima volta la dolcezza dell’Italia. Come mai quella povera chiesa di campagna poteva possedere un tesoro tale? Il curato divenne rosso e rispose che veramente il quadro era stato suo, un ricordo di famiglia; che gli era parso ispirato da Dio e degno perciò di un luogo santo; e che nella sua chiesa tanto povera e umile Maria ci stava opportunamente. Poi