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candidamente, benchè sia la vostra nipote. Quella ragazza ha fatto un gran cambiamento. Nepo e io l’abbiamo conosciuta a Milano. Con tutte le sue ricchezze, con tutte le sue grandezze, a mio fio non è piaciuta niente affatto. Gli pareva superba, aristocratica. Perchè mio fio, in punto aristocrazia, ha tutte le Vostre idee, che si usano adesso, dopo che c’è l’Italia. Mio fio non è mica uno di questi spuzzette che vi tiran di naso se non avete quattro quarti. Allora vostra nipote non gli piacque troppo. Non mi è dunque neppur passato per la testa che cambiasse il vento. E ho avuto torto perchè adesso, lasciatemelo dire, la è proprio una gioia, un bombon. E poi le sue disgrazie! Non ho pensato alle sue disgrazie, non ho pensato al cuore che ha mio fio. Per il cuore Nepo è tutto me. Il gran cuore, figlio caro, è un peso che tira a fondo; chi ha gran cuore...

— Ebbene? — interruppe il conte a cui pareva tempo di concludere.

— Ebbene, non dovrei parlar così a Voi che siete suo zio, il suo secondo padre, ma Vi ho già detto la confidenza che ho. Ecco, non so se si possa lasciar andare avanti questa cosa. Vedo il diritto, vedo il rovescio, vedo questo, vedo quello, vorrei e non vorrei. Oh Dio, che strucacuor!

La contessa si portò ancora il fazzoletto agli occhi. In quella un uscio si aperse, e comparve Catte recando la tabacchiera di Sua Eccellenza. Costei si voltò inviperita e gridò tutto d’un fiato con voce stridente:

Cavève vu, che ve lo go dito tante volte che no vogio che stè a secar co se parla!

Catte posò la tabacchiera sopra una seggiola e si ritirò in fretta.

Il conte restò ammirato delle mobili emozioni di sua cugina, la quale, ripiegato lentamente il capo, si riportava il fazzoletto agli occhi.

— Adesso — diss’egli — posso dire una parola io?