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certi occhi scintillanti che dicevano: — Eh, che vi pare? — Don Innocenzo ascoltava con attenzione vivissima e andava rimasticando fra i denti le parole tedesche citate da Edith, esagerandone l’accento onde persuadersi che fossero armoniose, mettendo degli hm, hm, di dubbio. L’ing. Ferrieri s’imbarazzava nella discussione più che non convenisse a un uomo di spirito; rispondeva breve e anche a sproposito alle chiamate che venivano dalla lancia.

Nella lancia remava il Rico, regnava e governava donna Marina elegantissima nel suo abito di flanella color tortora, tutto liscio, abbondante e fedele in pari tempo alle linee della bella persona, come se ne fosse stato il solo vestimento. Dalla cintura di cuoio giallo chiaro le cadeva sul fianco sinistro una minuta pioggia di catenelle d’oro. Un piccolo medaglione d’oro le pendeva sul gran nodo della cravatta di seta color marrone. Un cappellino rotondo pure color marrone, a penna d’aquila, le posava sul delicato viso un accento di capriccio altero. Portava i guanti del colore della cintura, e stringendo i cordoni verdi del timone appuntava i gomiti indietro, rivelava intera l’eleganza del busto, il disegno delle gambe di cui l’una si ripiegava indietro, l’altra slanciava verso il Rico la punta d’uno stivaletto tutto scuro picchiettato di bottoncini bianchi. Ell’aveva il Finotti a destra e il Vezza a sinistra. Nepo se ne stava seduto malinconicamente a prora. Marina lo trattava male quel giorno, il povero Nepo. L’aveva guardato una volta sola, entrando nella lancia, per fargli comprendere che cedesse il posto migliore ai nuovi ospiti. I due commendatori non avevan fatti complimenti, le si eran seduti ai fianchi con prontezza giovanile, il Finotti acceso in volto di fuoco mefistofelico, il Vezza irradiato dallo stesso placido sorriso di cui lo illuminava talvolta la visione beatifica di una coscia di tacchino ai tartufi. Non riconoscevano più la Marina fredda e silenziosa dell’altra volta. Questa nuova Marina sfavillava di spirito e di civetteria. Il com-