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che le spalle sollevate da un palpitar forte e frequente. Si rialzò alfine, cupa; e pensò.

Perchè non aver trattenuto Silla dopo udito il nome terribile?

Perchè, s’ella aveva perduto in sulle prime e moto e senso e volontà, non s’era slanciata poi quella notte stessa dietro a lui, a caso, ma con l’istinto della passione, dietro a lui ch’ella aveva amato, come dubitarne? al primo vederlo, malgrado se stessa, con dispetto e rabbia, dietro a lui che l’aveva stretta nelle braccia chiamandola Cecilia? Non si compiva così la predizione del manoscritto ch’ella sarebbe amata con questo nome? Perchè non fuggire, non cercare di lui subito? Perchè questa commedia con Nepo Salvador?

C’era bene il perchè, e Marina non poteva dimenticarlo a lungo.

Quelle ultime parole del manoscritto! «Lasciar fare a Dio. Sieno figli, sieno nipoti, sieno parenti, la vendetta sarà buona su tutti. Qui, aspettarla qui.» E i fatti non accennavano già confusamente da lontano com’ella potrebbe raggiungere insieme la vendetta e l’amore?

Le tornò la fede. Si alzò, prese la candela, venne sulla soglia dell’altra stanza e porse il capo a guardare lo stipo del secreto, alzando il lume con la sinistra. Era là, appena visibile nell’ombra della parete, nero a tarsie bianche, come un sarcofago dove fossero incisi caratteri arcani. Marina lo contemplò, dorata i capelli e le spalle ignude dal vivo chiaror tremulo che si spandeva intorno a lei per breve spazio di pareti e di pavimento. Ai suoi piedi oscillava l’ombra rotonda del candeliere. Fu assalita, pietrificata da una delle sue reminiscenze misteriose. Le pareva esser venuta su quella soglia un’altra volta, anni ed anni addietro di notte, discinta, con i capelli sciolti, aver visto ai suoi piedi l’ombra oscillante del candeliere, il lume intorno a sè per breve spazio di pareti e di pavimento, e, là davanti, lo stipo nero, i caratteri arcani.