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capello perchè trabocchino l’una nell’altra, così il tocco di una parola sola rompe gli ultimi ritegni alla effusione del cuore e l’amicizia diventa piena.

Ma Edith e Silla non parevano vicini a questo punto.

Ella accettò ben volentieri la proposta di suo padre e andò a mettersi il soprabito ed il cappello. Anche Steinegge chiese licenza a Silla, con grandi cerimonie, di attendere all’ornamento della propria persona. Silla andò intanto ad affacciarsi al balcone sul Naviglio.

L’aprile brillava quella sera nel cielo lucido e soffiava la lieta novella di primavera sulla vecchia città che beveva i soffi tepidi per ogni finestra. Quei soffi si spandevano blandi per le piazze, saltavano per le vie, sibilavano ai canti. Lassù in alto passavano a grandi ondate silenziose, movendo per le finestre degli abbaini biancherie pendenti dalle imposte, fiori schierati sul davanzale, che nella dolcezza infinita del tramonto primaverile ridevano al cielo, innocenti, dalle vecchie case piene di colpa. Il sole cadeva alle spalle di Silla. La casa dove egli stava e le altre sulla stessa linea a destra e a sinistra, cupo bastione colossale, gittavan ombra sui giardinetti ai loro piedi, sul Naviglio, la via e parte delle case di fronte. Sotto il balcone, a sinistra, si spiccava dal primo piano, fra due macchie di grandi magnolie, una terrazza a quadroni bianchi e rossi e balaustrata di granito rosa. Cinque o sei uomini in giubba e cravatta bianca, senza guanti, vi passeggiavano fumando. Una signora, una lunga cometa di velluto azzurro con una camelia bianca in testa, vi comparve a braccio di un signore piccolo, grasso, anch’egli in giubba e cravatta bianca. I fumatori le si fecero tosto attorno con rispettosa premura. Dal balcone di Silla non si potevano intendere le parole, ma si udivano le voci e si distingueva benissimo quella del piccolo signore grasso, il commendatore Vezza. Silla conosceva quella dama, tenace bellezza di quarantacinque anni, divisa da pochi anni da un marito giuocatore e nota per