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Pagina:Malombra.djvu/361

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pronunciate stamattina in presenza del conte, della contessa e... sì, infatti, di altre persone... egli desidera fare delle comunicazioni, non è vero? alcune comunicazioni circa la malattia per la quale venne invitato a consulto.

— Cioè — disse il frate — desidero! Niente affatto, desidero. È il mio dovere. Io vado per le corte, signori, e chiamo le cose col loro nome. Il mio dovere è d’informare Loro signori, che, a mio avviso, il conte d’Ormengo è stato... — Prima ch’egli compiesse la frase la contessa Fosca lasciò cadere il ventaglio. Nepo si alzò in piedi. Gli altri due non si mossero.

— Assassinato — disse lentamente il frate, dopo un istante di esitazione, levando gli occhi a Nepo con il pugno sinistro sopra una coscia e l’avambraccio destro attraverso all’altra.

— Oh Dio, oh Dio, oh Dio! — gemè la contessa spalancando tanto d’occhi spaventati. Nepo alzò le braccia, mise un’esclamazione d’incredulità sdegnosa.

L’avvocato procurava di chetarli con gran gesti, diceva con le mani e col capo che non si spaventassero, che aspettassero. Nepo cedette; ma la contessa ripeteva — oh Dio, oh Dio! — sempre più forte e scoppiò in lagrime.

— Ella poteva essere più prudente, padre — osservò bruscamente il Mirovich accostandosi alla contessa per sostenerla e farle animo.

— Santo Dio benedetto! — singhiozzava costei. — Questi orrori... di parole!... Dopo pranzo anche!

— Signora mia — disse il frate — l’interesse dell’ammalato vuole che si parli chiaro e presto. Io poi ho l’abitudine di dire la verità anche dopo pranzo.

— Continui, continui! — esclamò l’avvocato. — Si spieghi presto.

— Lo avrei già fatto se il signore e la signora fossero più pazienti. Non intendo dire che si sieno adoperati armi o veleno. Un ragazzo conosce l’apoplessia; nel nostro caso si tratta veramente di apoplessia. Dico