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questa, sulla facciata come questa, dove potrà dormire la Sua signora donzella.

A questo punto s’udì nel corridoio vicino uno scoppio di pianti e di lamenti. Era Fanny che singhiozzava disperatamente addossata al muro. Ripeteva fra i singhiozzi di voler andar via, di voler andare a Milano subito subito.

Giovanna rimase stupefatta della pazienza, della bontà, della grazia che Marina pose in opera con quella ragazza caparbia e irragionevole, riducendola poco a poco alla calma senza ottenerne mai una risposta diretta. Voleva andare a Milano a casa sua; casa sua, è vero, non l’aveva, ma sarebbe andata a casa di qualchedun altro: a Milano c’erano almeno cinquanta case di signori da carrozza, dove andare lei, sarebbe come pioverci la manna dal cielo, e le si erano già fatte, prima di lasciar Milano, delle magnifiche offerte; un luogo simile non lo avrebbe mai potuto immaginare; più di una settimana non resterebbe per tutto l’oro del mondo; l’idea di dormire in quell’orrore di camera l’avea fatta impazzire; i regali eran belli e buoni, ma più di quindici giorni o di un mese lei non resterebbe per tutti i regali della terra anche in un’altra stanza; del salario a lei non importava nulla; se restasse, resterebbe per affetto alla sua padrona e non per aumento di salario; del resto, non si sentiva poi neanche bene; provava un gran bisogno di mangiare qualche cosa di sostanzioso e di bere qualche cosa di forte. Così, lasciato a Giovanna l’incarico di trovare per Fanny una camera da letto meno vicina alla dimora degli spettri, fu fatta la pace, e Marina prese possesso del suo appartamento.

Anche il burbero zio fu in seguito ammansato da Marina, senza umili scuse nè moine a cui non avrebbero piegato nè lui nè lei, ma con un riserbo dignitoso, e, quando il rigido conte cominciò a dar qualche segno di sgelo, con certi discorsi studiati, con certe attenzioni appena accennate che lo ruppero e lo sconvolsero affatto.