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Se l’avessi veduto di faccia, avrei subito letto nel suo volto s’io poteva chiedergli un fiore, ma nè sulle sue spalle, nè sul colore de’ suoi calzoni, nè nella forma delle sue ciabatte poteva trovare elementi per giudicare della sua cortesia, e segnando colla punta del mio ombrelletto sull’arena del viale molti W, or grandi, or piccini, io esitava sperando che quella creatura viva mi avrebbe presto mostrato il colto, che mi avrebbe veduta.

Ma quegli eliotropii eran troppo belli: ed io era lieta e petulante come una fanciulletta, tanto mi avevano rallegrato l’aria mattutina e la salita dell’erta. In cattivo portoghese e colla voce tremante osai indirizzar la parola a quelle spalle ostinate nel loro silenzio:

— Signore, mi perdoni...

— Chi è là?

E dicendo questo, l’uomo dalle spalle ostinate, si rivolse e mi guardò. Aveva sulle ginocchia una fanciullina sui dieci anni che pareva dormisse.

— Signore, voi avete sul muricciuolo del vostro orto eliotropii così odorosi e così belli che mi hanno tentata, e son venuta a chiedervi licenza di coglierne alcuni.

— Signora mia, son tutti vostri, non sapeva che fossero fioriti: coglietene quanti ne volete.

Intanto io guardava quell’uomo e quella fanciullina, e la mia allegrezza petulante andava rapidamente passando nella tristezza più cupa. Io aveva di certo dinanzi a me il quadro di una grande sventura.

Il padrone degli eliotropii era un campagnuolo di Madera, dalle spalle tarchiate, e il volto bruno faceva contrasto con un collo ancor più bruno. Non aveva cravatta, e la camicia ampiamente aperta mostrava che quel collo non aveva mai avuto paura del sole. Il volto allungato, con barba nera, naso aquilino; faccia franca, rozza, più rughe in volto, e sopratutto sulla fronte, che capelli bianchi in capo. Sul fondo d’una giovialità ingenua e d’un cuore espansivo si leggevano le traccie d’un profondo dolore. Neppure per parlare quell’uomo poteva riposare le rughe che dalle due