Pagina:Mantegazza - Un giorno a Madera, 1910.djvu/30

Da Wikisource.

— 28 —

derei. Chiamatemi stolto, superbo: insultatemi col peggiore dei vostri disprezzi ma non mi dite una menzogna inutile. — Al disopra delle molte reticenze dell’educazione, al disopra dell’ipocrisia, al disopra delle cento lingue che separano gli uomini e li fanno stranieri gli uni agli altri, Dio ci ha lasciato un raggio di luce del suo paradiso; e ce l’ha messo nel fondo delle nostre pupille. Due occhi nel lampo d’un minuto possono scagliarsi contro torrenti di bile, vampe di desiderio, onde d’amore; l’occhio può odiare, può disprezzare, può adorare; può fremere, può dubitare, può bestemmiare e benedire. L’occhio può comandare e obbidire; può chiedere e rispondere; può tutto fuorchè mentire. Così cogli occhi vostri avete detto d’amarmi e se mi amate, perchè mi fuggite?

E voi mi fuggite da un mese: voi mi fuggite da quella sera in cui a bordo del Thyne noi passavamo insieme la Manica. Voi ritornavate da un viaggio in Italia fatto colla vostra zia, viaggio che io aveva fatto con voi, accompagnandovi di lontano, e scomparendo e ricomparendo a volta a volta, or combattuto dal rispetto e dalla convenienza, or trascinato nell’orbita del mio sole. Ma il Thyne ci aveva raccolti sotto lo stesso tetto, e, in una bellissima sera, col mar tranquillo, colla luna che si nascondeva e compariva fra i fiocchi densi di fumo del nostro battello, voi eravate seduta sopra una banchetta del cassero avanti la vostra zia, che dopo aver ascoltato il mio lungo cicaleggio si era addormentata.

Voi mi lasciavate parlare, e guardando la luna, vi compiacevate di nasconderla ad ogni momento agli occhi vostri con un grazioso piegar del capo che vi faceva sparire l’astro della notte dietro il tubo nero nero del camino. Io non so quel che dicessi, ma parlava sempre; e continuava a parlare, perchè mi ascoltavate volentieri. Io non vedeva la luna, nè il solco bianco e spumeggiante e tranquillo che il Thyne apriva nel campo di bronzo dell’Oceano, io non vedeva che una cosa sola, il vostro volto divino che sembrava tuffarsi tutto nella luce serena e argentina della luna. Avevate tirato all’indietro i vostri ricci che allungati dall’aria