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XII.
Fu scritto molto e forse troppo sopra gli amori molteplici e non tutti egualmente ammirabili e confessabili di Volfango Goethe. Il capitolo che tratta degli amori del Manzoni sarà assai più breve e più discreto, ma, come parmi, non privo d’importanza per chi s’occupi di psicologia letteraria. Io non piglio molto sul serio e però non dovrei curar qui il breve disgraziato amoretto di Venezia, del quale ho già fatto un breve cenno, perchè non sembra aver lasciata alcuna traccia profonda nell’arte manzoniana. Ma non posso, tuttavia, passare sotto silenzio che Niccolò Tommaseo aveva veduto un Sonetto giovanile del Manzoni, ov’era un verso molto espressivo. Il nostro Poeta, fin da giovinetto, aveva fermata la sua mente ad un alto ideale, e rivolgendosi alla sua Musa inspiratrice le prometteva di serbar fede al virtuoso ideale, arrecandone in pegno una ragione stupenda per la sua naturalezza:
Perch’io non posso tralasciar d’amarti!
Questo bel verso ci assicura già che per Alessandro Manzoni l’amore non sarà una debolezza, ma una sola grande virtù, e che dalla donna egli avrebbe
esemplare parigino del 1785, di circa 100 volumi in-8°, legati in marocchino col labbro dorato. L’egregio Carlo Tosi ne tiene quattro soltanto, chè degli altri alla morte del Vescovo non si trovarono che i cartoni.»