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Pagina:Manzoni.djvu/215

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le strofe del marzo 1821. il cinque maggio. 213


    tovano, che trattavano quell’argomento e che furon letti, per quanto mi venne riferito, tra un gran numero di convitati, a pranzo da lei. Per l’arditezza dei sentimenti levaron grido, e mentre alcuni se ne ripetevano imparati a memoria, pochi giorni appresso comparvero stampati colla intitolazione: Versi di Timone Cimbro a Cicognara. Colui che comandava in Milano le armi francesi, partir fece un giandarme, che, cambiatosi di brigata in brigata, recò velocissimamente i Versi a Napoleone, il quale colla stessa sollecitudine ordinò la destituzione del Cicognara, e la sua cacciata da Milano. Allora fu che riparossi in Toscana, dove si diede a continuar lo studio delle Belle Arti, che gli affari politici gli avevano fatto interrompere. Ma la Contessa rimase in Milano.» Il Monti, invece, del primo Console cantava:

                                             L’anima altera,
    Che nel gran cor di Bonaparte brilla,
    Fu dell’italo Sole una scintilla;


    poi volgendosi al Console stesso per rappresentargli le miserie d’Italia, aggiungeva:

                                                  Vedi che, priva
    Del Creator tuo sguardo, appena è viva.


    Il poeta Lodovico Savioli, nel 1803, salutava in Napoleone «il guerrier della vittoria alunno;» Luigi Lamberti «l’eroe dei Numi amor,» e infine esclamava:

    Fondar popoli e far con sante leggi
    La virtute reina e il vizio domo,
    Impresa è sol d’immortal Nume, o d’uomo
                Che a Nume si pareggi.


    Il poeta Veneto Buttura diceva da Venezia a Napoleone:

    Sull’indegne mio piaghe affisa il ciglio,
    Vien, vinci, abbatti i coronati mostri;
    E rendi a te la gloria, a me la vita.


    Son note le basse adulazioni del Cesarotti, autore della Pronea, che parlava in versi a Napoleone, dicendo:

    Parlo in prosa ai mortali, in versi ai Numi.