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i promessi sposi. 217

pare alquanto vaga o non è probabile che il Manzoni abbia fatto un romanzo solamente perchè il Fauriel ne volea fare un altro, ma più tosto si crederebbe vero il contrario, cioè che il Fauriel trovandosi a Brusuglio, quando il Manzoni avea già terminato e

    l’Adelchi, il Manzoni, abbandonata l’idea di una tragedia Spartaco, si mise anch’egli a pensare di comporre il romanzo Promessi Sposi. Circa lo stesso tempo, il suo amico Grossi s’occupava intorno ad un grande poema storico: I Lombardi alla prima Crociata. Era il tempo del grande ardore per l’Ivanhoe. Di qui nuove attivissime discussioni, e nuovo moto alle idee, sia per lettera, sia a voce, nel soggiorno del Fauriel in Italia (la Prefazione che precede il supplemento al secondo volume dei Canti popolari della Grecia del Fauriel reca la data di Brusuglio vicin di Milano) dal 1823 al 1825. Discutevasi, per esempio, come questione principale tra i due amici, intorno al modo d’innestare la storia con la poesia, senza che l’una noccia all’altra. Il Fauriel inclinava a credere che, quindi in poi, la lotta condurrebbe la poesia propriamente detta a rimanere ogni dì più soccombente. Il Manzoni pensava altrimenti, e sosteneva contro le apparenze e i cattivi pronostici che la poesia non ha volontà di morire. E tutti due s’accordarono a dire che, in un certo sistema di romanzo, «c’è posto per l’invenzione de’ fatti nella rappresentazione di costumi storici.» Ebbene, la è questa appunto, replicava il Manzoni, una di quelle forze potentissime che restano tuttavia alla poesia, la quale, com’io vi diceva, non ha volontà di morire. La narrazione storica non è fatta per lei; giacchè il racconto de’ fatti ha virtù di svegliare nell’uomo, naturalmente e ragionevolmente curioso, una tale attrattiva da disgustarci delle invenzioni poetiche che vi si volessero mescolare fino a farle parere puerili. Ma riunire i caratteri distintivi di un’epoca della società, rischiararli o porli in moto con un’azione, profittar della storia senza mettersi in concorrenza con essa, senza pretender di fare quel che essa sa far meglio sicuramente, ecco ciò che mi sembra tuttavia riservato alla poesia; che anzi essa sola può fare. «Non crediamo ingannarci (soggiunge il Sainte-Beuve), epilogando per tal modo l’opinione del poeta.»