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canto secondo 135


131.Le Naiadi lascive, i Fauni osceni
abbandonano gli antri, escon de l’onde.
Ciascun per far con gli occhi ai bianchi seni
qualche furto gentil, presso s’asconde.
Vegeta Amor ne’ rozi sterpi, e pieni
d’Amor ridono i fior, l’erbe e le fronde.
Ai sassi, esclusi dal piacere immenso,
spiace sol non avere anima e senso.

132.Paride istesso in quelle gioie estreme
non vive no, se non per gli occhi soli.
Tanto eccesso di luce, il miser teme
non la vista, e la vita in un gl’involi.
Sguardo non ha per tanti raggi insieme,
né cor bastante a sostener tre Soli.
Triplicato balen gli occhi gli serra,
un Sole in Cielo, e tre ne vede in terra!

133.«O Dei» dicea «che meraviglie veggio?
Chi de l’ottimo a trar m’insegna il meglio?
Son prodigi del Ciel? sogno, o vaneggio?
Qual di lor lascio? o qual fra l’altre sceglio?
Deh poi che ’nvan, per far ciò che far deggio,
i sensi affino, e l’intelletto sveglio,
in tanto dubbio alcun de’ raggi vostri,
o bellezze divine, il ver mi mostri.

134.Perché non son colui che d’occhi pieno
la Giovenca di Giove in guardia tenne?
Avessi in fronte, avessi intorno almeno
quante luci la Fama ha ne le penne.
Fossi la Notte, o fossi il Ciel sereno,
poi che dal Ciel tanta bellezza venne,
per poter rimirar cose sì belle
con tante viste quante son le stelle.