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canto terzo 165


51.Deh quante volte audacemente accosta
importuno a la mia l’adusta faccia,
e quella man, c’ha pur allor deposta
la tanaglia e la lima, in sen mi caccia:
ed io, malgrado mio, son sottoposta
ai nodi pur de l’aborrite braccia,
ed a soffrir che mentre ei mi lusinga,
la fuligine e ’l fumo ognor mi tinga!

52.Pallade (oh saggia lei!) quantunque meco
non s’agguagli in beltà, ne fe’ rifiuto.
Né Giove il volse in Ciel, ma nel più cieco
fondo il dannò d’un baratro perduto;
onde piombando in quell’arsiccio speco
l’osso s’infranse, e zoppicò caduto.
E pur zoppo ne venne entro il mio letto
l’altrui pace a turbar col suo difetto!

53.Già non m’è già di mente ancor uscita
la rimembranza de l’indegne offese.
Altamente nel cor mi sta scolpita
l’insidia, che si perfida mi tese,
quando a la rete di diamante ordita
questo sozzo villan nuda mi prese,
follemente scoprendo ai Numi eterni
de le mie membra i penetrali interni.

54.Un rabbioso dispetto ancor sent’io
del grave oltraggio onde delusa fui,
poi che diè con sua infamia e biasmo mio
vergognosa materia al riso altrui.
Or non si dolga no chi mi schernio,
se l’onta che mi fe’, ricade in lui.
S’ei volse cancellar corno con scorno,
io saprò vendicar scorno con corno!