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220 la novelletta


79.Per risguardar chi sia, che si consuma
in note pur sì dolorose e meste,
rompendo in spessi circoli la spuma
molte Ninfe e Tritoni alzàr le teste.
Ma vinti da quel Sol che l’acque alluma,
e tocchi il freddo sen d’ardor celeste,
per fuggir frettolosi, i bei cristalli
seminaro di perle, e di coralli.

80.Mentre là dove il vertice s’estolle
de l’erta rupe è posta in tale stato,
novo sente spirar di lungo il colle
di mill’aure Sabee misto odorato,
indi d’un aere dilicato e molle
sibilar sussurrar placido fiato,
che dolcemente rincrespando l’onde,
fa tremar l’ombre, e sfrascolar le fronde.

81.Era Zefiro questi. Io già, che ’ntento
altrove non avea l’occhio e ’l pensiero,
volsi far quel benigno amico vento
de le mie gioie essecutor Corriero.
Gonfia la mobil gonna, e piano e lento
col suo tranquillo spirito leggiero
da la scoscesa e rüinosa balza
senz’alcun danno ei la solleva ed alza.

82.E colà presso, ove di fior dipinta
fa sponda al mar quella valletta erbosa,
e di giovani allori intorno è cinta,
söavissimamente alfin la posa.
Qui da novo stupor confusa e vinta
su ’l fiorito pratel siede pensosa,
che fresco insieme e morbido le serba
tetto di fronde, e pavimento d’erba.