Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/431

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211.Deve per tutto ciò negli altrui deschi
cibo cercar la meretrice infame,
dovunque il figlio a satollar l’adeschi
de l’ingorda libidine le brame?
lo pur al par de’ piú robusti e freschi
credo vivanda aver per la sua fame:
ché dove un membro è difettoso e manca,
altra parte supplisce intera e franca!

212.Ma non so se ’n tal gioco averrá mai
ch’ella piú mi tradisca, e che m’offenda.
Cosí (perfida e rea!) cosí farai
de’ tuoi dolci trastulli amara emenda,
fin che la dote, ond’io stolto comprai
le mie proprie vergogne, a me si renda.
Poi per commun quiete il Re superno
vo’ che faccia tra noi divorzio eterno.

213.Or mirate (vi prego), alme divine,
gli altrui congiunti ai vituperi miei,
s’io fui ben cauto, e s’io fui buono alfine
uccellatore e pescator di Dei!
Dite s’anch’io so far prede e rapine,
come l’empio figliuol sa di costei.
Veggiasi chi di noi mastro piú scaltro
sia di reti e di lacci, o l’uno, o l’altro.

214.So che lieve è la pena, e che ’l mio torto
vie piú palese in tal castigo appare.
Ma le corna, ch’ascose in grembo porto,
vo’ pormi in fronte manifeste e chiare,
pur ch’io riceva almen questo conforto
di far la festa publica e vulgare!
Voglio la parte aver del piacer mio,
e poi che ride ognun, ridere anch’io».