Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/480

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143.Deh nel core (o mio core) omai m’aventa
quella lingua d’Amor dolce saetta,
e ’n cote di rubino aguzzar tenta
la punta, ch’a morir dolce m’alletta;
e fa’, tanto ch’anch’io morir mi senta,
del tuo dolce morir dolce vendetta.
Serpe sembri al ferir, ché ben ascose
stan sovente le Serpi in fra le rose.

144.E se, perch’ella è velenosa e schiva,
forse imitar la Vipera ti spiace,
movila almen, si come suol lasciva
coda guizzar di Rondine fugace.
O pur qual fronda di novella Oliva
rincresparla t’insegni Amor sagace.
Vibrala sí, che la tua bocca arciera,
emula de’ begli occhi, il cor mi fèra. —

145.— Non sono — egli ripiglia — or non son questi
gli occhi, onde dolci al cor strali mi scocchi?
cdi occhi, onde dolce il cor dianzi m’ardesti?
Begli occhi. — E ’n questo dir le bacia gli occhi.
— Begli occhi -— ella soggiunge — occhi celesti,
cagion che di dolcezza il cor trabocchi.
Core, ond’io vivo senza cor, tesoro
ond’io povera son, vita ond’io moro. —

146 Allora il Vago: — Anzi tu sol, tu sei
quel core onde ’l mio cor vita riceve.

Cor mio... — Piú volea dir, quando colei
la parola in un bacio, e ’l cor gli beve.

Ella per lui si strugge, egli per lei,
coma raggio di Sol falda di neve.

Suonano i baci, e mai dal cavo speco
forse a piú dolce suon non rispos’Eco.