Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/586

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183.Grande è il teatro, e ne’ suoi spazii immensi
chi langue in pena, e chi gioisce in gioco.
Ma per non ti stancar la mente e i sensi
in cose omai che ti rilevan poco,
tanto sol mostrerò, quanto appartiensi
a la bell’ésca del tuo dolce foco.
Sai pur, che protettrice è questa Dea
de la stirpe di Dardano e d’Enea.

184.Le diede sovra Pallade e Giunone
Paride giá de le bellezze il vanto,
ben che tragico n’ebbe il guiderdone,
e corser sangue il Simoenta e ’l Santo.
Questa (ma non giá sola) è la cagione
ch’ella il seme Troiano ami cotanto. —
Mirolla in questo dir Mercurio, e rise:
l’altra arrossí col rimembrar d’Anchise.

185.— Or mentre — seguí poi —, del cavo fianco
uscito del destrier ch’insidie chiude,
stuol di greci guerrieri il Frigio stanco
assai con armi impetuose e crude,
sotto la scorta del buon Duce Franco
ricovra a la Meotica palude
una gran parte di reliquie vive,
essuli, peregrine, e fuggitive.

186.Taccio il corso fatai di queste genti,
e de’ suoi vari casi il lungo giro;
per quanti fortunevoli accidenti
in Germania passar con Marcomiro;
come di Marcomiro i discendenti
nel Gallico terren si stabilirò,
dapoi che Feramondo al mondo venne,
che de lo scettro il prim’ onor vi tenne.