Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/151

Da Wikisource.


251.Adon che fai? deh qual follia ti tira
armi a toccar d’infernal tosco infette?
Ahi trascurato, ahi forsennato, mira
chi quell’arco adoprò, quelle saette!
Y’è di Diana ancor nascosta l’ira,
son fatalmente infauste e maledette.
Da che la Fera sua fu da lor morta,
infelici l’ha fatte a chi le porta.

252.Egli, ch’a ciò non pensa, o ciò non cura,
la faretra dispicca, e prende l’arco,
e di questa e di quel tiensi a ventura
render l’omero cinto, e ’l fianco carco.
Poi per la via piú breve e piú secura
del tronco d’òr si riconduce al varco,
né trova a córre il frutto impaccio o noia,
col favor di Mercurio, e de la gioia.

253.Tutto quel giorno, che fra gli altri sette
è di riposo, ed ultimo si conta,
convertita in Dragon la Maga stette,
poco possente a vendicar quell’onta.
Nacquer le Fate a tal destin soggette,
che da che sorge il Sol fin che tramonta,
e dal porre al levar, la brutta scorza
ogni settimo dí prendono a forza.

254.Or qual doglia la punse e la trafisse,
poi che spuntar de l’altra luce i raggi?
Quanto allor si turbò? quanto s’afflisse
quando s’accorse de’ suoi novi oltraggi?
Ma — Vanne ingrato pur, vattene — disse —
ché la vendetta mia teco ne traggi. —
Tacque, ed a sé chiamò con fiera voce
de le sue guardie un Caporal feroce.