Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/159

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3.Son forbiti gli usberghi e risplendenti,
tersi gli scudi, e gli elmi luminosi.
Perché non sono ancor chiari e lucenti
coloro che ne van cosí pomposi?
Poveri di riccami e d’ornamenti,
anzi rotti, smagliati e sanguinosi
da gran colpi di stocchi e di quadrella,
quanto oh quanto farian vista piú bella!

4.Quanto fora il miglior spada o bipenne
trattar ne’ duri assalti, o Cavalieri,
che per gioco spezzar fragili antenne,
stancando al corso i Barbari e gl’Iberi?
Che vai gli augelli impoverir di penne
per dispiegar al vento alti cimieri,
s’onor mercando in fra ’l nemico stuolo
non impennate a’ vostri nomi il volo?

5.Vuoisi piú tosto con qualch’atto egregio
onorar l’armi, ed illustrar gli arnesi,
ch’aver con procacciar da quelle il pregio
da rugin di viltá gli animi offesi.
Far devrebbe non men corona e fregio
a color c’han di gloria i cori accesi,
con non men bella ed onorata salma
che l’acciaio e che ’l ferro, alloro e palma.

6.Oggi pochi ha tra noi veri soldati,
che per vero valor vestan lorica.
Calzan piú per fuggir, sproni dorati,
che per seguir talor l’oste nemica.
E con abuso tal son tralignati
da la virtú, da la prodezza antica,
che sol rubando e violando alfine
son le guerre per lor fatte rapine.