Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/206

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191.A questo favellar cortese e pio,
a quella egregia e signoril presenza
il Guerrier placò l’ira, e ne stupio,
mirando di beltá tanta eccellenza;
né men ch’egli di lui, venne in desio
d’averne a pien contezza e conoscenza,
e gli occhi intento ne’ begli occhi affisse,
pensando pur chi fusse, onde venisse.

192.L’armi depose, e gli rispose — Amico,
poi che tanto ti preme il mio lamento,
non vo’ tacerlo, ancor che quant’io dico
tempri no, ma rinfreschi il mal ch’io sento,
con la inembranza del diletto antico:
dissi diletto, e devea dir tormento:
ché non ha doglia il misero maggiore
che ricordar la gioia entro il dolore.

193.Gir cosí solo e sconsolato errando
dura del Ciel necessitá mi face;
dagli altri lunge, e da me stesso in bando
non vo però senza conforto e pace.
Son discepol d’Amore, e contemplando
filosofar co’ miei pensier mi piace:
ch’a chiunque d’Amor s’afflige e lagna
l’istessa solitudine è compagna.

194.Ma se l’istoria amara e lagrimosa
pur d’intender ti cal, cónta ti fía,
e stupir ti fará quanto vuol cosa
ch’altrui pietate e meraviglia dia.
Fin che ’l dí sia vicin, meco riposa,
poi sorgeremo, e parlerem per via,
ché ben ch’uopo al mio affar non sia d’aiuto,
né compagnia, né cortesia rifiuto. —