Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/267

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11.Fuggon per l’erba liberi i ruscelli
poi che ’l Sol torna a delivrare il gelo.
Yan tra i folti querceti i vaghi augelli
disputando d’Amor di stelo in stelo.
Treman l’ombre leggiere ai venticelli,
ch’empion d’odori il disvelato cielo,
e scotendo e ’ncrespando i rami e l’onde,
si trastullan con Tacque, e con le fronde.

12.Di naturali arazzi intapezzato,
riveste ogni giardin spoglie superbe,
né d’un sol verde si colora il prato,
ma diverso cosí, come son Terbe.
A bei fiorami il verde riccamato
lava e polisce le sue gemme acerbe,
ch’a la brina ed al Sol formano a punto
quasi di Lidia un serico trapunto.

13.Apre le sbarre, e ’l caro armento mena
il Bifolco a tosar l’erba novella.
Scinta e scalza cantando a suon d’avena
sta con l’oche a filar la Villanella.
Scherzando col Torci per l’ombra amena
va la Giovenca, e col Monton l’Agnella.
Su per lo pian, che Flora ingemma e smalta,
con la Damma fugace il Danio salta.

14.Langue anch’egli d’Amor l’Angue feroce,
e deposta tra’ fior la scorza antica,
dov’Amor piú che ’l Sol lo scalda e coce,
ondeggia e guizza per la piaggia aprica.
I fischi e i fiati, onde spaventa e nóce,
cangia in sospir per la squamosa amica.
L’acuta lingua e la mordace bocca
in saetta d’Amor, che baci scocca.