Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/290

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103.Cosí diceano, e i Fauni al mormorio
de’ baci, che s’udian ben di lontano,
dal diletto rapiti, e dal desio,
giú da’ monti vicin calaro al piano.
Fuor de la verde sua spelonca uscio
il tutor de’ confin, padre Silvano,
e di tanta beltá le meraviglie
a mirar, a lodar chiamò le figlie.

104.— Ninfe — dicea — di questi ombrosi chiostri,
fate dolce sonar l’aure dintorno,
e con gemma Eritrea negli antri vostri
segnate in bianco il fortunato giorno.
Mirate lá, di che divini mostri
d’amorose bellezze è il bosco adorno. —
E qui taceasi, e poi con balli e canti
tutti applaudeano ai duo felici amanti.

105.Tirato intanto da duo bianchi augelli
stranio carro s’offerse al partir loro.
Né di Ciclopi mai lime o martelli
opra fornir di piú sottil lavoro.
1 seggi ha di zaffír capaci e belli,
e le rote d’argento, e i raggi d’oro.
Avorio è l’orbe, e ben massicci e sodi
son diamante e rubin le fasce e i chiodi.

106.Partono. Auriga Amor siede al governo
su ’l bel soglio falcato, e l’aureo morso
per via serena, Autumedonte eterno,
con redine di rose allenta al corso.
Verso gli alberghi del Giardin materno
va flagellando ai vaghi Cigni il dorso.
Auretta amica con suoi molli fiati
seconda il volo de’ canori alati.