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159.E pur, entrando a l’onorata gara,
cosí ne vien sov’ogni merto audace,
come fusse lo Dio che ’l dí rischiara,
o il bel fanciul da l’arco e da la face!
Villania per valor non fu mai cara,
piú gentilezza che beltá ne piace.
Amor piú fère allor ch’è men feroce,
e bellezza innocente assai piú noce. —
160.Al fin di questo dir gli occhi volgendo
a l’orgoglioso Barbaro insolente,
videlo da l’altar scender fremendo
de lo strano rifiuto impaziente.
Ed accusando con sembiante orrendo
la bella Dea d’ingiusta e d’inclemente,
detestando del figlio e fiamme e dardi,
batteva i denti, e stralunava i guardi.
161.Cosí Toro non dòmo, a cui le spaile
giogo non preme ancor duro e pesante,
poi che lasciò ne la diletta valle
il rivai vincitore e trionfante,
mugghiando va per solitario calle
rabbioso insieme, e sconsolato amante,
e pien d’angoscia il cor grave ed acerba
aborre il fonte, e gli dispiace l’erba.
162.Languia del Sol nel mar quasi sommerso
moribonda la luce, e semiviva,
e l’ombra, che coprir suol l’Universo,
la gran faccia del Ciel discoloriva.
Col pel fumante, e di sudori asperso
chini d’Hesperia invèr l’estrema riva
per pascersi ne’ prati Occidentali
gl’infiammati corsier piegavan l’ali.