Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/415

Da Wikisource.


59.Xé gioverai temeritá ti spinga
l’ira a provar de l’implacabil Orso,
come l’unghia nel sangue e ’l dente tinga
rapito da furor senza discorso.
Lagrimosa beltá, prego o lusinga
al suo morso mortai non pone il morso,
né potè altro giá mai che strazio e strage
le sue voglie appagar crude e malvage.

60.Ancor d’Hircania a la superba Fera
studia a tutto poter sottrarti Iunge.
Questa chi la persegue, aspra guerrera
schernitrice de’ rischi, opprime e punge.
Piú del marito Zefiro leggera,
velocemente il fuggitivo aggiunge.
Sparge d’ira le macchie, e furia e freme,
ch’ognor de’ cari parti il furto teme.

61.Xé men d’ogni altro l’animal che rugge
abbi sempre a schivar pronto l’ingegno.
Xon teme no, non teme il fier, non fugge,
asta, spiedo o spunton non gli è ritegno.
Ciò che ’ncontro gli vien, lacera e strugge,
ogn’intoppo gli accresce ésca a lo sdegno.
Foco gli occhi al crudel, ferro gli artigli
arma, e sprezza iracondo armi e perigli.

62.Deh se pur senza me creder si denno
sí belle membra a sí dubbioso bosco,
fa’, dolce anima mia, quant’io t’accenno,
campa di questi rei la rabbia e ’I tosco,
ch’intelletto non han, mente, né senno
da conoscere in te quel ch’io conosco.
Xon cura alcun di loro e non apprezza
gioventú, leggiadria, grazia, o bellezza. —