Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/438

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151.Scorre a Gíaro, ov’han gli essuli il bando,
e ’n cui de’ topi la vorace fame
rode Tacciar, de’ Cafarei lasciando
lontano alquanto il promontorio infame.
Volgesi ad Andro, e vien forte vibrando
Tumide penne de Tazurre squame,
e fa l’estremo del suo sforzo tutto
per superare il capriccioso flutto.

152.Fa senza indugio a Doliche tragitto,
dico di Prannio a la vinosa valle,
e dovunque la via taglia per dritto,
vedi di spuma innargentarsi il calle.
Eccol giá dove cadde Icaro afflitto,
ecco che Samo ha giá dopo le spalle.
Efeso giá si mostra, e giá comparso
il bel tempio s’ammira, ancor non arso.

153.Sorge incontro ad Arvisia, e vede Chio
di generosi pampini feconda,
e Lesbo, che gli accenti estremi udio
de la fredda d’Orfeo lingua, circonda,
e di Tenedo sacra al biondo Dio
prende e poi lascia la malfida sponda,
che Toste greca ascose entro il suo porto
per far a Troia sua l’ultimo torto.

154.Trattien la bella Dea su le ruine
d’ilio le luci alquanto intente e fise,
e sospirando del gran regno il fine,
piagne gli error del suo giá caro Anchise.
Ma quando mira poi Tacque vicine
di Simoe, ove il bel parto in terra mise
da cui dee propagarsi il suo legnaggio,
acqueta il duolo, e seguita il viaggio.